Capitolo I - Nezumi, bagnato fradicio

Parte I - II

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. alice25
     
    .

    User deleted


    Ecco la prima parte del I capitolo!

    :*yup*:

    Nezumi si trovava in un tunnel. Nell’oscurità, trasse un silenzioso respiro. L’aria odorava vagamente di sporcizia umida. Si trascinò sulla strada che doveva seguire con attenzione. Il tunnel era stretto. Era grande abbastanza da far passare a malapena Nezumi. La luce non arrivava da alcuna parte, eppure, questo placò la sua anima. In questi spazi, nessun essere di grandi dimensioni poteva venire a catturarlo. Un sollievo momentaneo e un po’ di tranquillità. Un dolore sordo si estese dalla spalla, ma non abbastanza forte da preoccuparlo. Il problema, piuttosto consisteva nella quantità di sangue perso. La ferita non era profonda, il colpo gli aveva solo sfiorato la spalla. Ormai, il sangue avrebbe dovuto iniziare a coagularsi e a chiudere la ferita. Ma la ferita era ancora… avvertì una sensazione di caldo e umido. Stava ancora sanguinando.
    Anticoagulante. Ne avevano rivestito il proiettile.
    Nezumi si morse il labbro. Voleva qualcosa per fermare l’emorragia. Della trombina o del sale di alluminio. No, forse nemmeno questo: gli bastava pulire la ferita con dell’acqua.
    Vinto dalle vertigini, le gambe gli cedettero.
    Non va bene.
    Svenimento per mancanza di sangue, forse. Se era davvero così non andava affatto bene, presto non sarebbe stato in grado di muoversi.
    Forse non mi dispiacerebbe.
    Sentì una voce dentro di lui.
    Forse non sarebbe stato così male rannicchiarsi, senza potersi muovere, avvolto in un umida oscurità. Avrebbe accettato di buon grado un sonno lungo e una morte serena. Forse avrebbe sentito un po’ di freddo.
    No, la stava prendendo troppo alla leggera. La sua pressione sanguigna sarebbe precipitata, avrebbe fatto fatica a respirare e le sue membra si sarebbero irrigidite, paralizzandolo… certamente non sarebbe stato indolore.
    Voglio dormire.
    Era stanco, aveva freddo, soffriva. Era incapace di muoversi. Avrebbe sofferto solo un po’, si disse. Era meglio restare lì, piuttosto che lottare inutilmente. Probabilmente c’erano persone che lo stavano inseguendo, ma nessuno che lo avrebbe salvato. Infine, avrebbe dovuto soltanto mettere una fine alla sua vita. Rannicchiarsi qui, addormentarsi soltanto. Bastava rinunciare.
    I suoi piedi continuavano ad avanzare, le sue mani correvano lungo le pareti. Nezumi fece un sorriso forzato. La sua voce gli diceva di rinunciare, ma il suo corpo continuava ad avanzare con tenacia. Com’era fastidioso tutto ciò.
    Manca un’ora. No, trenta minuti.
    Il limite di tempo che aveva per muoversi liberamente era di trenta minuti. In quel tempo avrebbe dovuto fermare l’emorragia e trovare un posto sicuro dove potersi riposare. Erano i requisiti di base per continuare a vivere.
    C’era movimento nell’aria. Il buio davanti a lui stava gradualmente schiarendo. Ogni passo gli costava fatica. Emerse dal suo stretto e oscuro tunnel in un’area più ampia, circondata da mura di cemento bianco. Nezumi sapeva che questa era una parte di un tunnel rimasto in uso fino a circa dieci anni prima, alla fine del ventesimo secolo. Contrariamente alla città, le strutture sotterranee di No.6 non erano molto ben tenute. Infatti, gran parte era rimasta nelle stesse condizioni del secolo prima. Questa fognatura era soltanto una dei tanti tunnel abbandonati e dimenticati. Nezumi non avrebbe potuto sperare in un ambiente migliore. Chiuse gli occhi e visualizzò la mappa di No.6 che era riuscito a estrarre dal computer.
    C’era una buona probabilità che questo fosse il percorso abbandonato K0210. Se lo era, avrebbe dovuto estendersi fino al quartiere residenziale ad alto reddito chiamato Chronos Naturalmente avrebbe potuto portare benissimo anche ad un vicolo cieco. Ma se aveva deciso di vivere, allora andare avanti era la sua unica opzione. Nezumi, nel suo stato attuale, non aveva né il tempo, né la possibilità per decidere.
    L’aria era cambiata. Non era umida e stantia come prima, era aria fresca che portava con sé molta umidità. Si ricordò che sopra pioveva forte. Questo passaggio era sicuramente collegato con il mondo in superficie.
    Nezumi inspirò a fondo, inalando il profumo della pioggia.

    ***



    7 settembre 2013, era il giorno del mio dodicesimo compleanno. In questo giorno, un sistema di bassa pressione tropicale, detto anche uragano, che si era sviluppata una settimana prima al largo della zona sud-occidentale del Pacifico settentrionale, ha continuato la sua strada verso nord, raccogliendo energia, finché non ci ha colpiti direttamente nella città di No.6.
    È stato il più bel regalo che abbia mai avuto. Ero colmo di entusiasmo. Erano da poco passate le quattro del pomeriggio, ma stava già facendo buio. Gli alberi nel cortile s’inchinavano ai venti e i rami e le foglie venivano strappati. Amavo il rumore fragoroso che facevano. Era il contrario rispetto alla spoglia atmosfera abituale di questo quartiere, che difficilmente coinvolgeva tanti suoni.
    Mia madre preferiva piccoli alberi ai fiori e, grazie alla sua entusiasta piantagione di mandorli, camelie e aceri, il nostro cortile era diventato un piccolo boschetto. Ma grazie a questo, il rumore oggi era diverso da qualsiasi altro. Ogni albero, gemendo, produce un suono diverso. Foglie e rami strappati si schiantavano contro la finestra, rimanendo appiccicati, per poi venire nuovamente spazzati via dal vento.
    Desideravo ardentemente aprirla. Persino venti forti come questi non sono bastati a rompere il vetro antiurto e, in questa stanza dall’atmosfera controllata, l’umidità e la temperatura sono rimaste stabili e immutate. Ecco perché ho voluto aprire la finestra. Aprirla per portare nell’aria il vento, la pioggia, un cambiamento dal solito.
    «Shion» chiamò la voce di mia madre dall’interfono, «Spero che tu non stia pensando di aprire la finestra».
    «No»
    «Bene… hai sentito? Le terre più a sud del Blocco Ovest sono state inondate. Tremendo, non è vero?»
    Il suo tono non sembrava molto dispiaciuto, in verità.
    Fuori da No.6, la terra era divisa in quattro blocchi: Est, Ovest, Nord e Sud. Per la maggior parte, nei blocchi Est e Sud c’erano terreni agricoli e pascoli. Fornivano il 60% di tutti i prodotti alimentare vegetali e il 50% di tutti i prodotti alimentari animali. A nord c’era una distesa di boschi di latifoglie e montagne, sotto la completa tutela del Comitato di Amministrazione Centrale.
    Senza il permesso del Comitato, nessuno poteva entrare nell'area. Non che qualcuno desiderasse vagare nel deserto, che è rimasto completamente selvaggio.
    Nel centro della città c’era un enorme parco forestale che si estendeva per più di un sesto della superficie totale della città. In esso si potevano sperimentare i cambiamenti stagionali e si poteva interagire con le migliaia di specie di piccoli animali e insetti che lo abitavano.
    La stragrande maggioranza dei cittadini era contenta della fauna selvatica all’interno del parco. A me non piaceva molto. In particolare non mi piaceva l’edificio del Municipio che si stagliava dal centro del parco. Affondava per cinque piani sottoterra ed emergeva per dieci piani in superficie, aveva la forma di una cupola. No.6 non aveva grattacieli, perciò dire che si “stagliava” è un po’ esagerato. Tuttavia emanava una sensazione inquietante. Alcune persone lo chiamavano Moondrop a causa della sua forma sferica e bianca, ma io ho sempre pensato che somigliasse di più ad una vescica circolare sulla pelle. Una vescica sorta nell’esatto centro della città. Come a circondarlo, l’ospedale della città e l’edificio del Dipartimento di Sicurezza sorgevano nelle vicinanze ed erano stati collegati con percorsi che sembravano tubi del gas. Nei dintorni c’era una foresta sempreverde. Il parco forestale, un luogo di pace e tranquillità per i buoni cittadini.
    Tutte le piante e gli animali che abitavano questo luogo erano stati minuziosamente controllati e così tutti i fiori, la frutta e le piccole creature di ogni area erano accuratamente registrati in ogni stagione.
    I cittadini potevano sapere quale fosse il tempo e il luogo migliore per poter guardarli o contemplarli, attraverso il Sistema di Servizio cittadino. Obbediente, perfezionava la natura. Ma anche quella natura si sarebbe scatenata in un giorno come questo. Dopotutto, si trattava di un uragano.
    Un ramo con le foglie verdi ancora attaccate urtò contro la finestra. Seguì una folata di vento e il suo ruggito risuonò a lungo. Per lo meno, pensavo di sentirlo risuonare. Il vetro insonorizzato mi tagliava fuori da ogni rumore esterno. Volevo togliere di mezzo la finestra. Volevo ascoltare, sentire l’infuriare del vento.
    Quasi senza pensarci, spalancai la finestra. Il vento e la pioggia soffiarono dentro la stanza. Il vento rombava come se fosse giunto dalle profondità della terra, era un boato che mai nella mia vita avevo sentito. Così anch’io, sollevando le mie mani al cielo, lanciai un urlo. Si disperse tra i venti di tempesta, senza mai raggiungere l’udito. Eppure urlai, senza alcun motivo. Gocce di pioggia mi volarono in gola. Sapevo che mi stavo comportando in modo infantile, eppure non riuscivo a smettere. Cominciò a piovere più forte. Quanto sarebbe stato bello togliere tutti i vestiti e poi correre sotto la pioggia. Cercai di immaginarmi nudo, mentre correvo nella tempesta torrenziale. Sarei stato sicuramente dichiarato pazzo, ma era una tentazione irresistibile. Aprii nuovamente la bocca inghiottendo altre goccioline di pioggia. Volevo reprimere questo strano impulso, avevo paura di ciò che si nascondeva dentro di me. A volte, sono sopraffatto da una tumultuosa e selvaggia ondata di emozioni.
    Rompilo.
    Distruggilo.
    Distruggere cosa?
    Tutto.
    Tutto?

    Ci fu un meccanico suono di allarme. Mi stava avvisando che le condizioni atmosferiche nella stanza si stavano deteriorando. Alla fine, la finestra si sarebbe chiusa e si sarebbe bloccata automaticamente. Si sarebbe attivato la deumidificazione e il controllo della temperatura e ogni cosa nella stanza, me compreso, si sarebbe asciugato all’istante.
    Mi sarei asciugato il viso grondante sulla tenda e mi sarei diretto verso la porta per spegnere il sistema di controllo dell'aria.
    Che cosa sarebbe accaduto, in quel momento, se io avessi ubbidito a quell’allarme? A volte me lo domando ancora. Se avessi chiuso la finestra e se avessi scelto di rimanere nella comoda tranquillità della mia stanza asciutta, la mia vita sarebbe stata completamente diversa. Non ho avuto rimpianti, mai nulla di simile. Era solo un pensiero particolare. L’evento che ha cambiato il mio intero mondo, così meticolosamente controllato fino a quel momento, è scaturito da quella piccola coincidenza- cioè che in data 7 settembre 2013, in un giorno di tempesta, io avevo casualmente aperto la finestra. È stato un pensiero molto particolare.
    E anche se non credo in un particolare Dio, ci sono momenti in cui sento una certa convinzione verso il termine “mano divina”.
    Spensi l’interruttore. Il suono di avviso si fermò. Un improvviso silenzio cadde nella stanza.
    «Heh».
    Sentii una debole risata alle mie spalle. Istintivamente mi girai di scatto e mi lasciai sfuggire un piccolo grido. C’era un ragazzo in piedi lì, bagnato fradicio. Mi ci è voluto un po’ per capire che fosse un ragazzo. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle che quasi gli coprivano il piccolo viso. Il collo e le braccia che spuntavano dalla camicia a maniche corte erano sottili. Non riuscivo a capire se si trattasse di un ragazzo o di una ragazza, se fosse giovane, o più grande si quel che sembrasse. I miei occhi e la mia attenzione si concentrarono sulla sua spalla sinistra, che era macchiata di rosso, impedendomi di pensare ad altro.
    Era il colore del sangue. Non avevo mai visto nessuno sanguinare così copiosamente quanto lui. Istintivamente, tesi la mia mano verso di lui. La figura dell’intruso svanì dalla mia portata. Allo stesso tempo, sentii un impatto e fui sbattuto contro il muro, con immensa forza. Sentii una sensazione di gelo attorno al mio collo. Erano dita, cinque dita che si chiudevano intorno alla mia gola.



    Ecco pronta la seconda parte!

    «Non ti muovere» disse.
    Era più basso di me. Strangolato dal basso, mi sforzai di guardarlo negli occhi. Erano scuri, ma al tempo stesso chiari, grigi. Non avevo mai visto un colore simile prima. Le sue dita si strinsero. Non sembrava affatto forte, ma ero completamente incapace di muovermi. Non era una cosa che una persona normale era in gradi di fare.
    «Capisco» riuscii a boccheggiare, «sei abituato a fare così».
    Il paio di occhi grigi mi guardava senza battere ciglio. Il suo sguardo era ancora fisso, ma diventò calmo come la superficie delicata del mare e non vi lessi alcuna sfumatura di minaccia, paura o di intenti omicidi. Erano occhi molto tranquilli. Sentii il panico scemare.
    «Ti posso curare la ferita» dissi, leccandomi le labbra. «Sei ferito, non è vero? Posso curarla».
    Mi vedevo riflesso negli occhi dell’intruso. Per un momento, mi sentii come se mi stesso risucchiando. Distolsi lo sguardo, guardai verso il basso e ripetei:
    «Ti devo curare la ferita. Dobbiamo fermare l’emorragia, curarla. Capisci cosa sto dicendo, vero?»
    La stretta al collo si allentò leggermente.
    «Shion».
    La voce di mia madre proveniva dall’interfono. «Hai la finestra aperta, non è vero?»
    Trattenni il respiro. Mi sentivo bene, andava tutto bene, mi rassicurai. Potevo parlare con un tono di voce normale.
    «La finestra? ...Oh, sì, è aperta».
    «Ti prenderai un raffreddore se non la chiudi».
    «Lo so».
    Potevo sentire mia madre ridere dall’altra parte.
    «Hai compiuto dodici anni oggi e ti comporti ancora come un bambino»
    «Va bene, ho capito… oh, mamma?»
    «Sì?»
    «Ho una relazione da scrivere. Puoi non disturbarmi per un po’?»
    «Una relazione? Ma non sei appena stato accettato al Corso Avanzato?»
    «Eh? Oh… be’, ho un sacco di compiti da fare».
    «Capisco… non sforzarti troppo. Scendi per l’ora di cena».
    Le dita fredde si allontanarono dalla mia gola, ero libero. Allungai la mano per riavviare il sistema di controllo dell’aria. Feci in modo di lasciare il sistema di sicurezza disattivato. Se non lo avessi fatto, avrebbe rivelato l’intruso come una presenza estranea e avrebbe scatenato un fastidioso allarme. Se fosse stato riconosciuto come legittimo residente di No.6 non sarebbe successo niente, ma non potevo credere che questo fradicio intruso avesse la cittadinanza.
    La finestra era chiusa e l’aria calda cominciò a circolare nella camera. L’intruso dagli occhi grigi crollò su un ginocchio e si appoggiò al letto. Emise un lungo e profondo respiro. Era stato indebolito notevolmente. Tirai fuori il kit di emergenza. Per prima cosa controllai il polso, poi gli strappai la camicia aperta e iniziai a pulire la ferita aperta.
    «Questo…»
    Non potei fare a meno di guardare. Non avevo dimestichezza con questo tipo di lesioni. Aveva un taglio poco profondo nella cresta della spalla.
    «Una ferita da proiettile?»
    «Già» rispose in maniera informale. «Mi ha sfiorato appena, però. Come la chiami una cosa del genere? Escoriazione?»
    «Io non sono un esperto. Sono ancora uno studente»
    «Del Corso Avanzato?»
    «A partire dal mese prossimo».
    «Wow. Alto quoziente intellettivo, eh?»
    C’era una punta di sarcasmo nella sua voce. Alzai lo sguardo dalla sua ferita e lo guardai negli occhi.
    «Ti stai prendendo gioco di me?»
    «Prenderti in giro? Quando mi stai curando tu? Mai. Allora, qual è la tua specializzazione?»
    Gli dissi che ero specializzato in ecologia. Ero appena stato accettato nel corso avanzato. Ecologia: aveva poco a che fare con il modo per curare una ferita da proiettile, era la mia prima esperienza. Fu un po’ emozionante. Vediamo, cosa devo fare per prima cosa? Disinfettare, fasciare… oh, sì: fermare l’emorragia.
    «Cosa stai facendo?»
    Iniziò a fissarmi quando presi una siringa dal kit di disinfezione e deglutì.
    «Anestesia locale. Va tutto bene, la faccio qui».
    «Aspetta, aspetta un minuto. Devi anestetizzare e poi?»
    «Cucire».
    Probabilmente lo avevo detto con un sorriso talmente ampio che sembrava non potessi divertirmi più di così. Fu qualcosa che avrei scoperto molto più tardi.
    «Cucirlo! Si può essere più primitivi di così?»
    «Questo non è un ospedale. Non ho impianti di ultima generazione e poi penso che una ferita da proiettile sia primitiva di per sé».
    Il tasso di criminalità in città era infinitamente vicino allo zero. La città era sicura e non c’era alcun bisogno che il cittadino medio possedesse una pistola. Se l’avevano, era solo per la caccia. Due volte l’anno il divieto di portare armi era revocato per la stagione di caccia. Imbracciando fucili vecchio stile, i patiti si avventuravano nelle montagne del Nord. A mamma non piacevano. Diceva di non capire come le persone potessero uccidere gli animali per divertimento e non era l’unica. In percentuale, il 70% dei cittadini aveva espresso il proprio disagio nei confronti della caccia a scopo sportivo. Uccidere poveri animali innocenti – quanto era violento, quanto crudele.
    Ma la figura sanguinante di fronte a me non era né una volpe, né un cervo. Era umano.
    «Non posso crederci» mi dissi.
    «Credere cosa?»
    «Che esistano persone che sparano ad altre persone… a meno che… non dirmi che qualcuno del club della caccia ti ha sparato per sbaglio?»
    Arricciò il labbro, stava sorridendo.
    «Club della caccia, eh? Be’, credo si possa chiamare così. Ma non mi hanno sparato per sbaglio»
    «Sapevano che stavano sparando ad un umano? Questo è contro la legge»
    «Davvero? Invece di dare la caccia ad una volpe è accaduto che cacciassero un umano. Una caccia all’uomo. Non credo che sia contro la legge».
    «Cosa vuoi dire?»
    «Che ci sono i cacciatori e la preda».
    «Non capisco di cosa tu stia parlando».
    «Immaginavo che non avresti capito. Non hai bisogno di capire. Quindi hai davvero intenzione di cucirmi? Non hai uno spray analettico o qualcosa del genere?»
    «Ho sempre voluto dare una ricucita.».
    Disinfettai la ferita e applicai l’anestetico con tre iniezioni intorno alla zona lesa. Le mani mi tremavano un po’ per i nervi, ma in qualche modo andò tutto liscio.
    «Dovresti iniziare a sentire il braccio intorpidito e poi…»
    «Lo cucirai».
    «Già».
    «Hai qualche esperienza?»
    «Certo che no. Non sto andando a medicina, ma possiedo le conoscenze di base per suturare una vena. L’ho visto in un video.»
    «Conoscenze di base, eh…»
    Trasse un profondo respiro e mi guardò direttamente in volto. Aveva e labbra sottili esangui, le guance incavate e la pelle riarsa era pallida. Aveva il viso di uno che non aveva vissuto una vita decente. Aveva davvero l’aspetto di un animale da preda che era stato inseguito senza sosta, esausto, senza alcuna via di fuga. Ma i suoi occhi erano diversi. Erano privi di emozioni, eppure potei avvertire una forza feroce emanare da essi. Era vitalità? Mi chiesi. Non avevo incontrato mai in vita mia qualcuno con occhi tanto memorabili. E quegli occhi mi fissavano senza batter ciglio.
    «Sei strano».
    «Perché dici così?»
    «Non hai nemmeno chiesto il mio nome».
    «Ah, già. Ma non mi sono nemmeno presentato».
    «Shion, giusto? Come il fiore?»
    «Già. A mia madre piacciono gli alberi e i fiori di campo. E tu?»
    «Nezumi».
    «Eh?»
    «Il mio nome».
    «Nezumi… non è vero».
    «Perché no?»
    Il colore di quegli occhi non era di un topo qualsiasi. Era qualcosa di più elegante. Come… il cielo poco prima del sorgere del sole – non era forse così? Arrossii imbarazzato nel cogliere me stesso recitare versi da poeta inesperto. Alzai volutamente la voce.
    «Ok, andiamo».
    Ricorda i passi base della sutura, mi dissi. Imposta due o tre fili stabili e usali come supporto per fare una sutura continua… deve essere condotta con la massima cura e precisione…ne caso di una sutura continua…
    Le mie dita tremavano. Nezumi guarda le punte delle dita, in silenzio. Ero nervoso, ma un po’ troppo entusiasta. Stavo mettendo in pratica solo la conoscenza teorica del libro di testo. Era esilarante.
    Completata la sutura, premetti un pezzo di garza pulita sulla ferita. Una goccia di sudore mi scivolò lungo la fronte.
    «Allora tu sei intelligente».
    «Anche la fronte di Nezumi era imperlata di sudore».
    «Sono solo bravo con le mani».
    «Non solo le mani. Sei anche bravo col cervello. Hai solo dodici anni, giusto? E stai per entrare nel Corso Avanzato della più alta istituzione educativa. Sei di super-élite».
    Questa volta non c’era alcuna sfumatura di sarcasmo, né alcun accenno di timore reverenziale. Silenziosamente, misi a posto la garza e gli strumenti sporchi.
    Dieci anni prima, mi era stato fatto l’esame d’intelligenza a cui sono sottoposti tutti i bambini di due anni nella nostra città, ricevendo il punteggio più alto. La città assicurava la migliore istruzione a coloro che mostravano alte capacita o abilità atletiche. Fino all’età di dieci anni, avevo frequentato le classi in un ambiente con le ultime tecnologie assieme ai miei coetanei. Sotto l’occhio di un gruppo di esperti istruttori, ci avevano dato una formazione solida e approfondita delle nozioni di base, seguita poi da un’istruzione specializzata in base alle potenzialità di ognuno di noi. Dal giorno in cui mi era stato riconosciuto il punteggio più alto, avevo il futuro assicurato. Non poteva crollare, non c’era forza che potesse sgretolarlo. Almeno, sarebbe dovuto essere così.
    «Sembra un letto comodo» mormorò Nezumi, ancora appoggiato ad esso.
    «Lo puoi usare, ma prima devi cambiarti».
    Lanciai una camicia pulita, un asciugamano e una scatola di antibiotici in grembo a Nezumi. Poi, per un capriccio, decisi di preparare una cioccolata calda. Avevo gli apparecchi di cottura di base nella mia stanza, abbastanza per fare una bevanda calda o due.
    «Non esattamente alla modo, vero?» Nezumi storse in naso afferrando la camicia a quadri.
    «Sempre meglio di una camicia strappata e coperta di sangue, se me lo chiedi».
    Gli passai una tazza di cioccolata fumante. Per la prima volta quella sera, vidi nei suoi occhi grigi quello che sembrava un guizzo di emozione, piacere. Nezumi ne bevve un sorso e sottovoce mormorò: «Buono».
    «È buono. Meglio della tua sutura».
    «Non è giusto compararli. Penso sia andata abbastanza bene per essere stata la mia prima sutura».
    «Sei sempre così?»
    «Eh?»
    «Ti lasci sempre scoperto? Oppure è normale per tutti voi “Piastra di Petri” d’élite avere zero senso del pericolo?» continuò Nezumi, tenendo la tazza con entrambe mani.
    «Voi ragazzi riuscite ad entrare in empatia con gli intrusi senza avvertire alcun pericolo o paura, eh?»
    «Mi sento in pericolo e ho anche paura. Ho paura delle cose pericolose e non voglio averci a che fare. Non sono nemmeno tanto ingenuo da credere che qualcuno che entra dalla mia finestra al secondo piano sia un cittadino rispettabile».
    «Allora perché?»
    Aveva ragione. Perché? Perché avevo curato la ferita di questo intruso e gli avevo anche dato una cioccolata calda? Non ero un mostro a sangue freddo, ma nemmeno ero pieno di compassione e di abbastanza buona volontà per tendere una mano a chi era stato ferito. Non ero un santo. Odiavo avere a che fare con problemi e disaccordi. Eppure avevo accolto questo intruso. Se le autorità cittadine lo avessero scoperto,sarei stato nei guai. Avrebbero potuto pensare a me come una persona priva di sano giudizio. Se quello che era successo…
    I miei occhi incontrarono quelli grigi. Mi sembrò di leggervi un accenno di sorriso. Come se avessero potuto vedere attraverso di me tutto quello che pensavo e per questo ridere di me. Mi strinsi lo stomaco con le braccia e guardai verso di lui.
    «Se tu fossi stato un uomo grosso, aggressivo, avrei subito attivato l’allarme, in quel momento. Ma eri piccolo, sembravi una ragazza, stavi per cadere. Così… Così ho deciso di aiutarti. E…»
    «E?»
    E i tuoi occhi erano di un colore strano che non avevo mai visto prima. E mi hanno incantato.
    «E… volevo vedere come fosse effettivamente suturare una vena».
    Nezumi si strinse nelle spalle e vuotò la tazza dalla cioccolata rimasta. Si asciugò la bocca con il dorso della mano, dopo di che lasciò scorrere un palmo sulle lenzuola.
    «Posso davvero dormire qui?»
    «Certo».
    «Grazie».
    Quelle erano le prime parole di gratitudine che avevo sentito da quando era entrato in camera mia.


    Edited by alice25 - 4/8/2013, 20:00
     
    Top
    .
  2. Kaika15
     
    .

    User deleted


    Grazie mille!
    E' fantastica questa novel *-*
     
    Top
    .
  3. alice25
     
    .

    User deleted


    Figurati! Domani inizio a tradurre la seconda parte! :D Spero di finirla presto. :D
     
    Top
    .
  4. yoi¤yoru
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (alice25 @ 1/8/2013, 20:25) 
    Figurati! Domani inizio a tradurre la seconda parte! :D Spero di finirla presto. :D

    Ciao! Pensavo non si trovasse da nessuna parte il novel tradotto, quindi lo stavo per fare io. Poi ho trovato questo blog e così ti volevo chiedere se potrei aiutarti ^^ E poi possiamo pubblicarlo in pdf, così sarà più facile leggerlo.
    Allora, fammi sapere se accetti la proposta :)
     
    Top
    .
  5. alice25
     
    .

    User deleted


    Aggiornata la seconda parte!!!
     
    Top
    .
  6. Kaika15
     
    .

    User deleted


    Che bello *-*!
    E' meraviglioso il "cambio di tono" che c'è tra la prima e la seconda parte. Nezumi non pensa di poter mai ricevere aiuto, e invece Shion glielo offre, inaspettatamente.
    Il paragone tra la caccia agli animali e la caccia all'uomo poi mi ha quasi fatto venire i brividi.
    Complimenti per la traduzione :D
     
    Top
    .
  7. alice25
     
    .

    User deleted


    Grazie mille! ^///^ Spero di essere all'altezza...

    CITAZIONE
    Il paragone tra la caccia agli animali e la caccia all'uomo poi mi ha quasi fatto venire i brividi.

    Concordo in pieno! è qualcosa di aberrante! D:
     
    Top
    .
6 replies since 1/8/2013, 14:23   881 views
  Share  
.